di Noemi Buraschi

Negli ultimi anni, Internet è diventato uno strumento estremamente comune che permea quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana. La sua influenza, infatti, non si limita a sole realtà pratiche, quali il lavoro, le news o i contatti sociali, ma arriva ad influire persino sulla sfera spirituale.
Anche una religione come quella buddhista deve fare i conti con tale nuovo mezzo di comunicazione.
Faccia a faccia con un medium che si apre a un flusso bidirezionale di informazioni, come hanno reagito le istituzioni buddhiste? Il modo in cui tale nuovo medium è stato accolto e sfruttato varia da paese a paese?
Queste sono le domande cui questo elaborato cerca di dar risposta, esaminando in primis le pagine web delle istituzioni buddhiste in tre zone distinte – Giappone, Italia e Stati Uniti d’America – per cercare, se sussiste, uno schema comune.
In seguito, l’elaborato prende in esame anche quella parte del ciberspazio che non è istituzionalizzato, per indagare in quale modo il buddhismo si presenta in un ambiente dove non esiste un’autorità fissa e immutabile.
Da tale studio, risulta evidente che, nonostante l’estrema fluidità propria di Internet, le istituzioni ufficiali buddhiste preferiscono rimanere in controllo delle informazioni e diffonderle in maniera unilaterale; si sono pertanto avvicinate al nuovo medium in maniera non differente da come utilizzavano quelli precedenti.
D’altra parte, il Web 2.0 non istituzionalizzato ha permesso un’estrema democratizzazione delle informazioni e nuove forme di autorità che i singoli utenti creano per se stessi; se da un lato questo consente un dialogo paritario, dall’altro rende necessaria una buona dose di scetticismo da parte di coloro che usufruiscono del World Wide Web.

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