di Lucrezia Donati

Il culto di Inari si distingue per la sua natura dinamica e complessa, caratterizzato da un’eterogeneità di pratiche e credenze che ne impedisce la classificazione: Inari è venerata sia nello shintō che nel buddhismo, ma il suo nome non compare nelle mitologie ufficiali. Nessuna autorità centrale si è mai preoccupata di standardizzare il culto che nel corso dei secoli ha continuato a trasformarsi, assumendo di volta in volta nuovi significati. L’incessante mutevolezza che lo caratterizza può essere ricondotta alla figura della volpe, il simbolo che più di frequente viene associato a Inari. Nonostante sia difficile ricostruire l’origine del legame tra le due, di sicuro la loro combinazione ha apportato tinte folkloriche al culto aumentandone la popolarità. Nei primi anni dell’epoca moderna, la separazione tra shintō e buddhismo e le teorie illuministe promosse dal bunmei kaika che condannavano gli elementi “superstiziosi” e “primitivi” legati a culti e usanze popolari, hanno minacciato la stabilità del culto di Inari, il quale è tuttavia riuscito ad evitare la completa sottomissione all’ideologia di stato, mantenendo intatto il suo eclettismo. Questa ricerca ha lo scopo di fornire un’inquadratura generale del culto, dall’analisi di alcune teorie sulla sua origine, alle associazioni che coinvolgono la volpe, con particolare attenzione ai cambiamenti che l’hanno influenzato in epoca Meiji (1868-1912).

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