di Irene Greco

Nel Giappone moderno, la tendenza è quella di tracciare una linea di demarcazione particolarmente netta tra la sfera educativa e quella religiosa, limitandone i contatti. Tale predisposizione sarebbe nata da un’interpretazione del principio più generale di separazione tra Stato e Chiesa, espresso nella Costituzione e originato dal desiderio di evitare un revival del cosiddetto shintō di Stato. Difatti, una diversa lettura di suddetto concetto sembra, per certi versi, virare paradossalmente verso un intento di laicizzazione del Paese in favore di un'(auto)affermazione di modernità, senza riuscire dunque a scindere la “religione” dai “valori religiosi” in essa contenuti e impedendo la realizzazione di un sistema moderno e contemporaneo di valori multiculturali, fondamentale per una vita all’insegna della globalizzazione.
In tutto ciò, la scuola pubblica risente particolarmente di una simile situazione. I materiali didattici risultano inadatti, gli insegnanti poco preparati (pure l’università non provvede sufficientemente alla formazione in materia), e le lezioni stesse poco interattive e troppo astratte per gli studenti che, nell’età critica compresa fra i dieci e quindici anni in cui sviluppano il proprio modo di essere che connoterà il resto della loro vita, si ritrovano privi di un supporto che li guidi nella creazione di un pensiero critico proprio, fattore che causa un’importante lacuna etica nel sistema scolastico giapponese.

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